Si può guadagnare con il self-publishing? C’è chi dice no…

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Ros Barber, che forse conoscete per The Marlowe Papers (2012) e Devotion (2015), non è una delle più grandi sostenitrici del self-publishing. In un articolo pubblicato dal Guardian lo scorso lunedì, l’autrice ha espresso la propria opinione sul perché l’autopubblicazione non sia un sistema conveniente per gli scrittori, soprattutto da un punto di vista finanziario.

LO “STIPENDIO” DEL SELF-PUBLISHING

Del resto scrivere non comporta necessariamente assegni giganti, e per viver nel lusso ci vogliono milioni di copie vendute (o un contratto a prova di bomba). Molti autori guadagnano poco dalle vendite dei propri libri e quindi dalle royalties, e la fetta più grande delle entrate si basa sul pagamento in anticipo che la casa editrice elargisce quando il manoscritto viene consegnato. Nel caso del suo ultimo libro – Devotion – la Barber racconta di aver ricevuto 5000 sterline (all’incirca 6300 euro), per due anni di fatiche creative. Facendo le somme, sarebbe come se la casa editrice avesse pagato all’autrice uno stipendio di 262,5 euro al mese per due anni (stipendio pagato tutto alla fine però). Le molte persone che seguono il blog e i vari articoli online della Barber le hanno consigliato di lasciar perdere le case editrici, e di rivolgersi all’unico vero salvatore della patria: il self-publishing.

Now, I understand that “indie publishing” is all the rage, but you might as well be telling Luke Skywalker to go to the dark side. Despite royalty rates of 70%, I think self-publishing is a terrible idea for serious novelists (by which I mean, novelists who take writing seriously, and love to write).

Ora, capisco che l’editoria indipendente sia in un momento difficile, ma allora tanto varrebbe consigliare a Luke Skywalker di unirsi al lato oscuro. Nonostante le royalties siano al 70%, credo che il self-publishing sia una terribile idea per autori seri (ovvero autori che prendono la scrittura sul serio e che amano scrivere).

LA DURA LEGGE DEL MARKETING

C’è chi scrive a tempo perso e vuole pubblicare la propria storia per “vanità” (in un’accezione non necessariamente negativa), e c’è chi invece scrive perché vuole vivere grazie ai propri libri. La Barber però ne è convinta: se siete autori self-publishing, allora non potrete campare grazie alla vostra scrittura. Perché? Innanzitutto perché un autore self-publishing non può concentrarsi soltanto sulla scrittura: senza una casa editrice alle spalle, c’è bisogno di farsi marketing da soli per riuscire a far conoscere il proprio libro al maggior numero di persone possibile.

Secondo alcune statistiche, un autore self-publishing spende il 10% del proprio tempo scrivendo, e il restante 90% facendo marketing. Ci sono autori che riescono anche a guadagnare decine di migliaia di euro al mese, ma se il rapporto tra il tempo che si passa a scrivere e quello che si passa a fare promozione è questo, ne vale davvero la pena? Se scrivete per pura passione, allora questa è una domanda che dovete farvi.

Un pagliaccio

L’opinione che la Barber ha degli autori che si auto-pubblicano

IL GALATEO NELL’ERA DEL SELF-PUBLISHING

La seconda obiezione è di natura più sociologica: il self-publishing, l’autrice suggerisce, ti fa comportare in maniera bizzarra. Se come abbiamo visto il marketing diventa una parte fondamentale della vita dell’autore auto-pubblicato, allora anche le relazioni interpersonali ne andranno a risentire. In questo contesto ogni occasione diventa buona per farsi pubblicità, e anche quando si incontra una persona nuova viene naturale cercare di menzionare il proprio libro. Chissà, magari da cosa nascerà cosa e ci scapperà un acquisto su Amazon…

Se avete amici o conoscenti che si auto-pubblicano, avrete notato che la gran parte dei loro post sono pubblicità. È un atteggiamento comprensibile, ma il rischio è quello di alienare una parte dei propri lettori, che magari vorrebbero conoscere anche qualcosa di più personale riguardo all’autore. Anche peggio: c’è il rischio di allontanare una parte dei propri amici.

Lavoro manuale

L’importanza dei dettagli

L’IMPORTANZA DELLA QUALITA’

La terza motivazione è di natura stilistica. Non è la prima volta che sottolineo come gli editori rappresentino di solito i “guardiani della qualità”: una volta che il manoscritto viene consegnato, gli editori pensano a come migliorarlo, per fargli raggiungere la sua forma finale. Anche i grandi autori hanno bisogno di cesellare le proprie storie, e un team di professionisti alle spalle rende il lavoro più agevole. Scrivere un libro per conto proprio e poi pubblicarlo direttamente può essere la scelta giusta, ma solo se il lavoro di editing in precedenza è stato impeccabile. Può capitare infatti di pubblicare la propria storia troppo presto, e questo può influenzare in maniera decisiva il successo del libro.

Essere supportati da un valido team, può voler dire tanto. Un libro ha bisogno di un editore, di un team di designer, di qualcuno che si intenda di marketing e di pubblicisti. I libri che ci colpiscono sono quelli che sembrano impeccabili, sotto tutti i punti di vista. Continuereste la lettura di un libro pieno di errori di ortografia? O scegliereste un libro con una copertina che sembra disegnata da una persona che ha iniziato a usare Photoshop la settimana prima? È importante saper dare un’impressione professionale, altrimenti c’è il rischio di passare per amatori. La Barber sottolinea come affidarsi a una casa editrice non voglia dire solo avere un team di professionisti dalla propria parte, ma non ci sarà neanche bisogno di pagarli: saranno loro a pagare voi.

Allacciandosi a questa argomentazione, la Barber parla anche di un “apprendistato” che ogni buon autore deve seguire.

My first novel was my fourth novel. It was accomplished on the back of three complete novels (plus two half novels) that didn’t quite make the grade (even though two of them were represented by well-respected agents). Yes, it can be frustrating, having your beloved book (months or years of hard work) rejected by traditional publishers. But if you are serious about writing, you will simply raise your game. You will put in another few thousand hours and complete your apprenticeship. And when you do, you will be very glad that the first novel you wrote was not the first novel you published, because it will now feel embarrassing and amateurish. You can only be a debutante once. First novels are all about making a splash.

Il mio primo romanzo era in realtà il mio quarto. Ci sono arrivata dopo tre romanzi (più due scritti a metà) che in realtà non ce l’hanno mai fatta, anche se erano nelle mani di agenti molto capaci. Sì, può essere frustrante avere il tuo amato libro rifiutato dagli editori tradizionali, dopo mesi oppure anni di duro lavoro. Ma se siete seri per quanto riguarda la scrittura, dovete solo darci dentro ancora di più. Scriverete qualche altro migliaio di parole e concluderete il vostro apprendistato. E quando lo farete, sarete felice che la prima storia che avete scritto non sia stata quella che alla fine è stata pubblicata, perché adesso vi sembrerà imbarazzante e amatoriale. Potete essere debuttanti una volta sola, e i debutti servono a fare una buona impressione.

Il romanzo di debutto getta le basi su cui l’autore può costruire la propria carriera. Una buona partenza vuol dire che l’autore può iniziare a coltivare la propria base di lettori affezionati, sfruttando soprattutto i social network, al giorno d’oggi parte fondamentale di qualunque autore (vero, John Green?). Un libro di debutto ben scritto verrà recensito da piccoli siti indipendenti e poi, eventualmente, da siti sempre più grandi, iniziando a generare un proficuo passaparola. Viceversa, una partenza zoppicante rischia di creare un contraccolpo negativo: i lettori disposti a leggere romanzi di lettori indipendenti potrebbero restare delusi dal vostro stile e decidere che non vale la pena darvi una seconda occasione.

Un portafoglio vuoto

Il rapporto tra molti autori self-publishing e i guadagni

NO MONEY

L’ultima motivazione portata dalla Barber è di natura fiscale. Come già sottolineato all’inizio di questo articolo, scrivere affidandosi al self-publishing vuol dire che difficilmente si potrà vivere di questo come unica fonte di reddito. Semmai il self-publishing può servire come trampolino verso l’editoria tradizionale, dove generalmente girano più soldi.

I do not earn much as a traditionally published author but I earn more than I did as a self-publisher. I published 7 books in 4 years and in that time only one of them went into profit – and that less than £100. And before anyone says it’s because I didn’t work hard enough, my friends and family who barely saw me for 4 years will tell you that I worked my butt off. So hard in fact that I attracted the attention of two separate traditional publishers who took me on.

Come autrice pubblicata in maniera tradizionale non guadagno molto, ma è sicuramente di più di quello che guadagnavo come self-publisher. In 4 anni ho pubblicato 7 libri, e solo 1 su 7 è riuscito a fare qualche profitto, e si trattava di un profitto di circa 100 sterline. E prima che qualcuno dica che il motivo è che non ho lavorato abbastanza duramente, i miei amici e la mia famiglia – che mi hanno visto raramente in quei 4 anni – vi diranno che non è andata così. Mi sono data così da fare infatti che due editori mi hanno voluta.

Di soldi insomma ce ne sono pochi. Se volete sperare di vivere grazie ai vostri libri, l’unica speranza è quella di affidarsi a editori tradizionali. Il motivo? Un editore vi può offrire un team di professionisti, royalties più basse rispetto ad Amazon ma allo stesso tempo garantisce un pagamento in anticipo, senza contare tutto il lavoro “postumo” che farà sì che il vostro libro venga raccomandato nelle varie fiere del libro e nei mercati internazionali. Un giudizio piuttosto feroce, che mette in luce alcuni aspetti fragili del settore ma allo stesso tempo nasconde un’eccessiva severità. Voi cosa ne pensate?

About Author

Managing editor ed Editor-in-Chief del sito. Ha una laurea in Lingue e istituzioni economiche e giuridiche dell'Asia Orientale (Università Ca Foscari) e un Master in International Publishing (London City University). Vive a Londra, dove lavora come SEO copywriter e data analyst.