Uno dei concetti che mi ha più affascinato da quando ho iniziato a lavorare nell’editoria è quello della cosiddetta authorship, ovvero la paternità che ogni autore esercita sulle proprie opere. Si tratta di un argomento che è evoluto molto nel corso dei secoli, soprattutto grazie alla progressiva introduzione del diritto di copia (o copyright) nato in Gran Bretagna per volere regale nel XVI secolo.
L’EPOCA DEL COPYRIGHT E DELL’EDITORIA DIGITALE
In epoca medievale, un autore era quasi completamente escluso dal processo editoriale. Sembra un paradosso, ma è così: i libri venivano pubblicati grazie all’interessamento di un mecenate, e l’autore rappresentava poco più di una manovalanza letteraria. Il manoscritto, una volta terminato, veniva girato a uno stampatore che provvedeva a pubblicarlo. Con lo sdoganamento della stampa tuttavia, gli autori iniziarano ad essere anche editori e distributori delle proprie opere (basti pensare al grande artista Albrecht Durer), aprendo la strada a un nuovo modo di fare editoria. Facendo un volo pindarico di 500 anni, la fine del Novecento e l’inizio degli anni Duemila hanno posto le basi per una nuova evoluzione non soltanto del ruolo dello scrittore, ma in generale di tutti i protagonisti del settore.
Autori, editori, e distributori sanno infatti che il proprio business dipende in maniera imprescindibile dai nuovi media e da internet. Questo perché i contenuti di cui usufruiamo tutti i giorni vivono una seconda vita digitale: se state leggendo un articolo tratto da un quotidiano o l’ultimo capitolo del romanzo del vostro autore preferito, le possibilità che ne esista anche una versione digitale sono altissime. Se navigate spesso online (ma anche se siete navigatori occasionali) allora non vi sarà sfuggito il fatto che internet sia un po’ la terra di tutti, un po’ la terra di nessuno.
Per regolamentare questo Far West digitale, negli anni sono state create regole e leggi che ogni buon internauta deve seguire. Alcune leggi sono simpatiche e spiritose, altre invece sono più complesse e istituzionali, come nel caso della cosiddetta Neutralità della rete (o net neutrality). Ciò detto, ci sono ancora questioni in attesa di una risoluzione e questo fa sì che a volte si vengano a creare spiacevoli incomprensioni.

Un cartello inneggiante alla Net Neutrality (Fonte: glistatigenerali.com)
LA NATURA DELLE PIATTAFORME SELF-PUBLISHING
A questo proposito mi è capitato di leggere a proposito di un caso molto interessante, che ha riguardato alcuni siti online di self-publishing (tra cui non poteva mancare quello di Amazon) e la giustizia americana. Su queste piattaforme self-publishing, gli autori che vogliono auto-pubblicarsi possono caricare le proprie opere e creare e-book, e volendo possono anche pubblicare libri cartacei attraverso un processo chiamato print-on-demand (di cui parlerermo in un altro articolo). Questi servizi hanno un solo compito: pubblicare. Non sta a loro controllare il materiale, tranne che per evitare casi di plagio oppure pornografia, e infatti solitamente ci sono termini e condizioni a cui l’autore acconsente prima di procedere con la pubblicazione. Nel momento in cui voi accettate i termini offerti, i servizi di self-publishing o print-on-demand se ne possono lavare le mani. Ricordatevi di questo punto, perché ci torneremo tra poche righe.
Sembrerebbe tutto tranquillo… se non fosse per il fatto che il copyright è uno strumento più complesso di quanto non si possa pensare, e non tutti sembrano comprenderlo perfettamente. Come la mettiamo ad esempio con le immagini che sono coperte da diritti d’autore? Facendo un esempio concreto, cosa succede se un libro self-publishing viene messo sul mercato violando il copyright delle immagini che si trovano in copertina e/o al suo interno?
Si tratta di una situazione spinosa, che pone una domanda sul ruolo delle piattaforme self-publishing: andrebbero trattate come editori, oppure come “semplici” distributori? A risolvere la faccenda ci ha pensato Thomas M. Rose un giudice americano che lo scorso marzo ha giudicato diversi siti self-publishing non perseguibili a norma di legge per avere pubblicato un libro contenente una copia non autorizzata di una foto protetta da copyright. Potete trovare la documentazione ufficiale della vicenda Roe v Amazon.com et al cliccando qui.

La Corte di Giustizia di Clark, in Ohio USA (Fonte: wikimedia.org)
IL CASO MCKENNA
Il libro in questione è stato scritto da Greg McKenna, sotto pseudonimo, e pubblicato attraverso diverse piattaforme self-publishing. Dopo l’upload, il libro è stato messo in vendita su diverse librerie online ed era anche disponibile per il print-on-demand. Il problema della violazione del copyright si sarebbe dovuto porre già in questo momento, ma a quanto pare la bomba ha avuto bisogno di un po’ di tempo prima di esplodere. Nessuno infatti si è reso conto della situazione finché in uno dei tanti talk show televisivi americani non si è parlato proprio di questo libro. Nel giro di poco tempo, la libreria proprietaria dei diritti dell’immagine di copertina usata per il libro ha contattato l’autore, che a sua volta ha informato i vari rivenditori online della situazione.
L’autore ha così provveduto a cambiare la copertina, sostituendo l’immagine incriminata con un’altra di dominio pubblico. Ma il danno, ormai, era fatto. La libreria ha deciso di portare in tribunale i vari rivenditori (dal Kindle Direct Publishing di Amazon alla Nook Press di Barnes & Noble), denunciando una violazione della privacy, seguendo il ragionamento secondo cui McKenna avrebbe commissionato il libro ma a pubblicarlo sarebbero state le piattaforme self-publishing.
Amazon&Co si sono difesi sulla base che, tecnicamente, questi servizi si sono limitati ad offrire all’autore una piattaforma attraverso la quale distribuire il libro, ma questo non li rende editori. La risposta dell’accusa è stata: “Se avete lavorato insieme all’autore per portare alla luce il libro, allora avete fatto lo stesso lavoro di una canonica casa editrice.”

Leggete sempre prima di firmare (Fonte: overopinionated.com)
TERMINI E CONDIZIONI
La corte americana si è tuttavia schierata con le varie piattaforme, definendo il loro operato “non editoriale.” Questo grazie all’esistenza di quelle cosette chiamate “termini e condizioni” di cui abbiamo parlato prima: gli autori self-publishing che stanno leggendo questo articolo infatti sanno benissimo che prima di pubblicare il proprio libro attraverso Amazon ad esempio bisogna accettare una clausola in cui si dichiara di essere in possesso di tutti i diritti necessari. La stessa cosa vale anche per le altre piattaforme, che di certo non potevano essere così candide da dimenticarsi di mettere la clausola del “E noi ce ne laviamo le mani.”
La sentenza dello scorso marzo fa così felici tutte le piattaforme self-publishing, che probabilmente sapevano fin dall’inizio di essere a prova di bomba ma almeno ora hanno un riscontro ufficiale da parte di un giudice. Si tratta quindi di un precedente molto importante, che potrebbe tra le altre cose scoraggiare quelle piattaforme che potevano pensare di offrire anche servizi editoriali. Se siete autori, ricordatevi di controllare sempre dalla prima all’ultima parola quello che firmate online: potreste evitarvi delle belle rogne legali.
Se vi riconoscete in uno dei protagonisti di questa storia, commentate l’articolo qui sotto o sui vostri profili social, oppure scrivetemi al mio indirizzo andrea@gamobu.eu. A presto!