Nell’ultimo post abbiamo visto insieme il rapporto tra self-publishing e mondo digitale. Oggi invece voglio condividere le mie riflessioni su un articolo di Rheea Mukherjee che ho trovato su Scroll.in, dal titolo “Perché il self-publishing non è il miglior futuro che puoi dare al tuo libro.” Si tratta di un articolo di cui capisco il punto di vista, ma che mi trova fortemente dubbioso sulla validità della tesi di fondo.
Partiamo da questo periodo:
I’m not going to be a wet towel and totally hate on self-publishing, but I am going to heavily critique a nation that has lost its appreciation for good writing and the suffering that goes with it. I am going to talk about a nation that has too many talking heads and people who think that what they have to say (never mind their lack of craft, hard work, or tragic personal reading habits) should be published.
Non voglio fare la noiosa e vomitare bile sul self-publishing, ma mi sento di criticare fortemente una nazione che ha perso la capacità di apprezzare la buona scrittura e la sofferenza che ne consegue (Eh? Nda). Parlerò di una nazione che ha troppi logorroici e troppe persone che pensano che quello che hanno da dire debba essere pubblicato, non importa se il tutto è fatto senz’arte o duro lavoro o è pieno di terribili vizi stilistici.
La qualità è importante. Di più, è essenziale. Il self-publishing permette a tutti di pubblicare le proprie storie, ed è proprio questo il bello. Il self-publishing non si occupa di qualità, un aspetto che non è mai sottolineato a sufficienza. Il self-publishing permette a chiunque di auto-pubblicarsi, punto. Solo un editore sceglie quali opere siano degne di pubblicazione nell’editoria tradizionale, questo non è un servizio che possiamo aspettarci da Amazon. Storco un po’ il naso quando leggo di “troppe persone che pensano che quello che pensano […] debba essere pubblicato.” E perché non dovrebbero? C’e’ qualcosa di male nel pubblicare una storia per vanità o semplicemente perché si vuole evitare la trafila di cercare un agente o essere accettati da un casa editrice? Onestamente non penso sia così. Il self-publishing è democratico, permette a tutti di fare sentire la propria voce.
Ci sono sempre più casi di libri auto-pubblicati che finiscono poi per essere casi di grande successo. I due esempi che di solito uso in questo caso sono 50 Sfumature di Grigio e The Martian: possono piacere o non piacere, ma questi due racconti rappresentano oggi business da milioni di dollari, e questo è un dato di fatto. Sarebbero stati pubblicati da una casa editrice? Forse si, forse no. Non lo sapremo mai. Quello che sappiamo è che entrambi sono stati auto-pubblicati e non sono passati attraverso il canonico processo di pubblicazione. Eppure il successo è arrivato comunque.
Nel suo articolo, Mukherjee utilizza tre punti principali per esprimere la propria tesi:
The vanity press is raging and disguised as a well-wisher – L’editoria a pagamento assume sempre più importanza e si maschera da benefattrice

Regalare un libro pubblicato tramite self-publishing? Perché no!
It […] means that traditional publishers (you know, where they actually like your work enough to publish it and give you the money?) are less likely to be heard in the noise, and some very decent writing gets lost in the arena of self-published books.
Questo significa che gli editori tradizionali (sapete, quelli che apprezzano veramente il vostro lavoro e che vogliono pubblicarlo e sono disposti a pagarvi?) fanno più fatica a farsi sentire nella ressa, e alcune buone storie vanno a perdersi nell’arena dei libri auto-pubblicati.
Mukherjee lamenta il fatto che alcune aziende offrono agli scrittori la possibilità di auto-pubblicarsi, dietro pagamento di una somma da definire. Ad esempio, potreste pubblicare 10 copie del vostro libro per 40 dollari. Lavoro nell’editoria, eppure non vedo dove sia lo scandalo: non si tratta di concorrenza sleale agli editori, quanto un branchia dell’editoria moderna che punta su quell’aspetto DIY (do-it-yourself, o fattelo-da-solo) che l’esplosione di internet ha portato in dote. Vuoi pagare 40 dollari per pubblicare 10 copie del tuo libro, magari perché vuoi fare un regalo ai tuoi famigliari e ai tuoi amici? Per come la vedo io, fai solo bene.
Il self-publishing è un settore complesso e difficile, ma allo stesso tempo vi mette al centro del progetto: potete scegliere voi le tempistiche, come e quando muovervi, e quale sarà la versione finale del libro. È vero che non avrete più l’aiuto degli editori, ma se il vostro libro riuscirà a farsi valere, allora saranno gli editori a trovare voi. Guardandola dal punto di vista degli editori poi, credo che il self-publishing rappresenti per le case editrice un nuovo spunto di riflessione su cosa va e cosa non va nei propri modelli di pubblicazione.
A few self-published works do exceptionally well – Solo pochi lavori auto-pubblicati fanno veramente bene

Uno su mille ce la fa, e se lo dice Gianni…
The Guardian reports that ‘”the average amount earned by DIY authors last year was just $10,000 (£6,375).
Secondo il Guardian, “la somma media guadagnata da un autore self-publishing l’anno scorso era di solo 10mila dollari – e circa la metà [degli autori]ha guadagnato 500 dollari.
L’articolo di Mukherjee è datato 20 febbraio 2016. Quello del Guardian, invece, è stato pubblicato nel 2012 e si riferisce quindi ai dati del 2011. Qui Mukherjee fa un errore piuttosto pacchiano, in quanto prende in considerazione dati vecchi di 5 anni per parlare di un fenomeno che sta vivendo ora il suo momento di maggiore risonanza. Davvero ci stupiamo che nel 2011 un autore auto-pubblicato guadagnasse di media 10mila dollari all’anno?
È normale che ci siano pesi massimi come E L James che hanno guadagnato milioni di dollari attraverso i propri libri auto-pubblicati mentre altri guadagnano molto meno: volete dirmi che un autore pubblicato da una piccola cosa editrice indipendente riceve le stesse somme di un Grisham? Ma soprattutto, tutti i libri stampati in maniera canonica raggiungono il successo? Quanti invece rappresentano delle pietre al collo per il coraggioso editore che se ne è accollato le spese?
As a self-published author, you’re a digital door-to-door salesman – In quanto autore auto-pubblicato, sei un venditore porta a porta digitale

L’importanza di sapere vendere
Come ultimo punto della propria tesi, Mukherjee sottolinea come l’autore self-publishing debba anche accollarsi tutta una serie di “attività extra.” Ad esempio c’è bisogno di lavorare al marketing: un libro auto-pubblicato non ha una grande cassa di risonanza, e una volta online non vuol dire che troverà necessariamente un’audience. Spetta all’autore darsi da fare per far sì che sempre più persone si interessino al libro e lo vogliano comprare.
Questo è vero, ma non è necessariamente un male. Come già accennato prima, il self-publishing mette al centre del progetto l’autore: vi occupate voi del marketing certo, ma vuole anche dire che siete voi a scegliere come farvi pubblicità. In più sarete voi a scegliere tutto, dal titolo alla copertina: se anche dovete “vendere” il vostro libro, non credete che stando così le cose sarete anche più convinti della bontà del vostro prodotto? In fondo, avete scelto tutto voi.
Ecco come la penso sull’articolo comparso un paio di settimane fa su Scroll.in. Sono molto curioso di sentire cosa ne pensate voi, quindi non esitate a commentare (qui o sui social) oppure a mandarmi un’e-mail all’indirizzo andrea@gamobu.eu. A presto!
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