Ieri mi sono imbattuto in un interessante report condotto da Adobe e PageFair. Il report in questione è stato poi anche riportato in un blog del New York Times, in quanto l’argomento trattato è di grande attualità nel mondo digitale.
Negli ultimi anni, uno dei fenomeni di maggiore successo per quanto riguarda la user experience online è stato l’introduzione – lenta ma inesorabile – di browser software in grado di bloccare le pubblicità durante la navigazione su internet. In inglese questo fenomeno si chiama ad-blocking (non è un caso che il più famoso software per bloccare pubblicità si chiami proprio AdBlock).
FARE PUBBLICITÀ ONLINE NEL 2015
È indubbio come l’utente che utilizzi questo tipo di programmi non possa che giovarne: niente più pop-up, più spazio ai contenuti dei siti, niente video o musichette che partono all’improvviso. Da un punto di vista della navigazione, un paradiso. Come sempre, tuttavia, c’è anche un rovescio della medaglia: qual è l’effetto dell’ad-blocking per chi con le pubblicità ci vive?
Il report di cui vi parlavo a inizio articolo affronta proprio questo argomento. È stato stimato infatti che nel 2015 l’ad-blocking costerà all’industria ben 22 miliardi di dollari, soldi che sarebbero dovuti essere incassati e che invece non arriveranno mai nei portafogli dei marketing people sparsi in tutto il mondo.
La cifra vi sembra esagerata? Niente affatto, perché a quanto pare la diffusione di questi software sta continuando a ritmi sempre più sostenuti: in alcuni Paesi (soprattutto europei) circa 1 utente su 3 utilizza un qualche programma di ad-blocking, e questo spiega perché la cifra “persa” dal marketing sia aumentata del 41% rispetto al 2014.
L’ITALIA E L’AD-BLOCKING
È così emerso che nel mondo ci sono 198 milioni di persone ad-blocker. Tra i Paesi più attivi sotto questo punto di vista ci sono gli Stati Uniti, dove all’incirca 43 milioni di persone utilizzano software ad-blocking per evitare di vedere pubblicità durante la navigazione. Anche il Regno Unito non se la cava male, anche se la cifra si ferma solo a 12 milioni.
Il nostro Paese deve ancora crescere sotto questo punto di vista, considerato che al momento “solo” il 12,8% degli utenti italiani utilizza questo sistema.
Veniamo addirittura triplicati dalla Grecia, che crisi o non crisi si guadagna il titolo di più attiva nel campo dell’ad-blocking a livello europeo, con il 36,7% della popolazione web che ha scelto di dire basta alla pubblicità online.
IL FUTURO DELL’AD-BLOCKING E DEL MARKETING
Cercare di intuire le contromosse del marketing è ancora abbastanza rischioso. Di certo però si possono fare supposizioni su dove questo settore cercherà di andare a parare.
Ci sono siti infatti che per combattere il fenomeno dell’ad-blocking scelgono di oscurare i propri contenuti, chiedendo all’utente di disattivare il programma prima di continuare. Una scelta giusta? Probabilmente no.
È chiaro infatti che siamo di fronte a un muro contro muro: all’utente X poco importa (di solito) che l’utente Y guadagni poco o niente da una propria visita sul suo sito. Questo meccanismo potrebbe innescarsi solo nel caso di una frequentazione continua sul sito in questione, ma anche in questo caso non ci sono certezze.
Forse l’unico modo per far sì che le pubblicità funzionassero sarebbe una funzione cookie ancora più avanzata di quella attuale: se io utente sapessi per certo che le pubblicità che potrei visualizzare fossero tagliate su misura per me, allora sarei più propenso a disattivare i software di protezione. Questo ammesso e non concesso che io sia disposto a mettere la mia privacy a disposizione delle aziende terze… Ma questa è un’altra storia.
E voi cosa ne pensate? Vi sentite pro o contro ad-blocking? Fatemi sapere le vostre idee nell’area commenti!