Authors Guild v. Google, 2nd U.S. Circuit Court of Appeals, No. 13-4829. Smarriti? Tranquilli, arriva la spiegazione. Quello che avete appena letto è il nome di un decennale processo che sta tenendo col fiato sospeso tutti quelli che si interessano di editoria e digital.
L’Authors Guild (AG) è la più antica ed estesa organizzazione professionale per scrittori negli Stati Uniti, che si occupa di proteggere la libertà d’espressione e il diritto d’autore (o copyright). Nelle scorse ore l’Authors Guild ha perso il secondo appello nella sua battaglia legale contro Google, che AG ha voluto portare in tribunale per via dei milioni di libri che Big G ha scannerizzato per inserire nella propria libreria online. La Corte d’Appello che si è occupato della questione ha stabilito che Google in questo caso non ha violato alcun copyright, rigettando così le accuse di un gruppo di autori che si era affidata all’organizzazione.
Il tutto era iniziato nel lontano 2005, quando l’editoria digitale stava iniziando ad affermarsi e leggere libri su dispositivi elettronici non era più un affare per pochi (anche se il primo Kindle arrivò sul mercato solo 4 anni dopo). L’Authors Guild accusò Google (la cui compagnia controllante ora si chiama Alphabet) di privare illegalmente gli autori della parte di ricavi che sarebbe spettata loro. La risposta di Google voleva invece fare notare come questa operazione di pubblicazione online dei libri avrebbe aiutato le vendite dei libri per via della maggiore esposizione.
Il giudice Denny Chin ha così stabilito che quello di Google è ‘utilizzo leale’, o ‘fair use’, nonostante il pool di esperti abbia avuto parecchie discussioni prima di arrivare a questo verdetto. Scannerizzare decine di milioni di libri e postare piccole preview online è quindi considerato fair use per la legge americana. Una decisione storica senza dubbio.