Mercoledì ormai fa rima con coworking! In questo nuovo post vi parlerò del coworking da un punto di vista sociologico.
Come vi avevo raccontato nel mio primo post di presentazione, mi sono da poco laureata in Gestione delle organizzazioni, presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell’Università degli studi di Trento. L’argomento della mia tesi finale non poteva che essere il coworking. Questo articolo vuole raccontarvi i punti più interessanti della mia tesi, ignorerò parzialmente le parti meno divertenti come la metodologia, per concentrarmi sulle conclusioni alla quali la mia ricerca mi ha portata.
Un breve accenno alla metodologia utilizzata è d’obbligo. Ho condotto una ricerca etnografica, precisamente ho raccolto i dati sfruttando la tecnica dell’osservazione partecipante. Visto che ho avuto la possibilità di fare uno stage della durata di cinque mesi in uno spazio di coworking, mi sembrava la soluzione ottimale. Ho condotto poi anche delle interviste, sia a membri dello spazio di coworking che ai due manager, per evidenziare degli aspetti che la sola osservazione non poteva chiarire. La parte metodologica potrebbe risultare molto noiosa ai più, ma se avete domande particolare su questo aspetto contattatemi, sarò più che felice di rispondervi.
Il titolo del mio elaborato finale è “Coworking: dalla scrivania alla comunità”. Sono partita dal presupposto che il coworking non si esaurisse nell’affitto di uno spazio con scrivanie e Wifi, ma che ci fosse molto di più. Ma cosa? E come si concretizza questo valore aggiunto? Mi è bastato poco tempo per capire che il valore aggiunto del coworking fosse la comunità che si forma tra le persone che popolano lo spazio. Non è però un sentimento che nasce in modo spontaneo e semplice. Nello spazio di coworking dove ho svolto la mia ricerca, avevo notato come le persone non entrassero in contatto tra loro istintivamente.
Attraverso le interviste che ho condotto con i membri, ma anche tramite delle chiacchiere informali durante le pause pranzo, è emerso come le persone sfruttino lo spazio di coworking principalmente per lavorare, trovare quella motivazione che lavorando da casa non riescono ad avere, sottostimando tutto “il resto”. Quello che non si aspettano è che oltre alla motivazione trovano nuovi clienti, nuove opportunità lavorative e perché no, nuovi amici. Scoprono che in uno spazio di coworking la serendipity viene accelerata.
Definiamo la serendipity come la scoperta, avvenuta per caso o per sagacia, di risultati validi che non si stavano cercando. Penso che questo concetto possa essere applicato anche a quello che accade in uno spazio di coworking, dove i risultati non cercati potrebbero essere nuove opportunità lavorative. Certo non è una cosa automatica, non tutti trovano delle nuove opportunità, ma lo scopo dei manager dello spazio è fare in modo che questo accada a più persone possibili.
Ma la serendipity, che per definizione è un qualcosa che accade per caso, può essere accelerata? Quanto emerge da quello che è stato da me osservato, sì, questo può avvenire, grazie al lavoro dei manager dello spazio. Un altro aspetto che ho evidenziato nel mio elaborato finale è il ruolo essenziale dei gestori dello spazio. Senza di loro non potrebbe esserci il passaggio dalla “scrivani alla comunità”. Ed è proprio al loro ruolo che dedicherò il post della settimana prossima.
Ci tengo a precisare che queste osservazioni sono derivate dalla ricerca condotta in un singolo spazio, e per tanto non sono generalizzabili a tutti gli spazi di coworking. Voi cosa ne pensate? Vi ritrovate con quello che ho scritto?
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2 Comments
Ciao Sara, mi piacciono molto i tuoi articoli e li stiamo postando sulla nostra pagina FB di “coworkingtreviglio”. E’ possibile avere un pdf della tua tesi?
Ciao Daniele! Scusa per la risposta in mega ritardo. Grazie per il supporto 🙂
Ho appena scorso le pagine del vostro sito, che bel progetto! Vi faccio un grande in bocca al lupo! Contattami via mail s.magnabosco@gamobu.eu per la tesi.