Un paio di mesi fa è uscito nel mercato anglosassone l’ultimo libro di Kazuo Ishiguro, The Buried Giant. Il romanzo non è stato classificato come fantasy, seppur pieno di elementi tipici del genere. Le polemiche sorte intorno al libro e alla decisione dell’autore hanno aperto un dibattito iniziato da Neil Gaiman, sul New York Times. Ora i due autori si ritrovano sul web a parlare dei limiti e dei pregiudizi dei generi letterari e dei motivi per cui si legge.
I generi letterari, come nota Ishiguro, non sono che una recente invenzione dell’industria editoriale. Ben lontani dall’essere un valore assoluto, i generi sono etichette che seguono le mode, nomenclature che nascono e muoiono a seconda dei gusti dei lettori: il fantasy, ricorda Neil Gaiman, nasce negli anni ’60, quando l’enorme successo de Il Signore degli Anelli, ha portato alla pubblicazione di libri con le stesse caratteristiche e che seguissero un certo schema che poi sono diventati tratti tipici del genere. Eppure, non è detto che una volta che il genere è nato vivrà per sempre: la sezione horror sta lentamente scomparendo dalle librerie, e i titoli catalogati come tali adesso finiscono nei thriller, fantascienza o fantasy.

I LIMITI DELLE ETICHETTE
Ma il problema dei generi non è solo un problema che riguarda librerie e biblioteche, in un certo senso tocca la società stessa. Catalogare un libro in un determinato modo significa dargli più o meno importanza. Si sa che i libri di genere difficilmente ricevono lo stesso riconoscimento dei libri considerati “letterari” e non credo serva essere critici e luminari di letteratura contemporanea per accorgerci che le probabilità che nelle antologie scolastiche ci finiscano libri con draghi, astronavi o ragazze con poteri telecinetici sono molto basse e che l’inserimento di un solo elemento fantastico è sufficiente per essere declassati a scrittori di serie B.
Eppure basta pensare a un tempo non molto lontano per accorgerci che l’idea che solo le storie in cui la realtà è mostrata secondo le sue rigide regole possano rappresentare lo spirito di un tempo ed essere considerate letteratura, è una convinzione tutta moderna. Senza arrivare a toccare i poemi epici o i romanzi cavallereschi, prodotti di tempi in cui il mito e la magia erano elementi quotidiani, nei primi decenni del ‘900 nessuno ha dato a Dickens dello scrittore di genere o ha denigrato il significato letterario di Canto di Natale solo perché appaiono fantasmi.
Ma il libro ormai è diventato un accessorio che esprime qualcosa di noi stessi. “Sono sempre stato consapevole che questo è parte del perché la gente vuole leggere i miei lavori” dichiara Ishiguro “pensano che sia prestigioso farsi vedere con in mano il libro di uno scrittore autorevole.”

LA LETTURA COME FUGA O MOMENTO ISTRUTTIVO?
Questo porta i due autori a considerare un altro problema: leggere per piacere o leggere per migliorarsi?
Ishiguro vede la lettura come un’attività che serve a migliorare l’uomo, “una sorta di nutrimento spirituale e intellettuale”, sceglie i libri perché convinto di imparare qualcosa sul mondo e sulle persone. “Ma se per migliorare intendiamo che [i libri]debbano aiutarmi a risalire la scala sociale, questo non è ciò per cui qualcuno dovrebbe leggere o scrivere.”
Gaiman, d’altro canto, si dice completamente a favore della lettura come evasione: “l’unica categoria di persone a cui non piace evadere sono i carcerieri” e continua “Penso che la fuga sia una buona cosa: andare in un posto nuovo, imparare qualcosa e tornare con strumenti che magari non avevi prima”.
LA DEMOCRAZIA DEI LIBRI
Ma tornando al discorso sui generi, i limiti che essi impongono stanno pian piano scomparendo grazie anche a fenomeni letterari moderni. Autori come J.K. Rowling, Philip Pullman e lo stesso Neil Gaiman hanno aiutato a sdoganare la netta separazione che intercorreva tra libri per bambini e libri per adulti, e soprattutto hanno cambiato il modo in cui i problemi reali vengono rappresentati ai più piccoli. “Penso che le barriere stiano cadendo” dice Gaiman “Amo l’idea che a volte se vuoi davvero scrivere della realtà, devi per forza includere il fantastico”.
È il caso dei romanzi distopici, che riescono a rappresentare perfettamente lo shock e la paura del futuro, figlia di un mondo che cambia troppo in fretta. I distopici sono “una sorta di oscura e logica estensione del mondo che conosciamo, un commento su di esso” dice Ishiguro, e continua precisando che se il mondo distopico non ha nessuna relazione con il mondo in cui viviamo, non ha senso disturbarsi a leggerlo.
In definitiva però, il vero problema è limitare il valore dei libri in base al genere, e ancora peggio, limitare l’immaginazione per aderire ai generi letterari, motivi di marketing o semplici pregiudizi sociali.