Colorado, metà anni Settanta – Jack Torrance riceve l’incarico di badare alla manutenzione invernale dell’Overlook Hotel, centenaria meta turistica sui monti del Wyoming che da novembre a primavera chiude per ragioni climatiche. Con una carriera accademica rovinata dall’alcolismo, Jack è convinto che solo l’isolamento assoluto possa aiutarlo a scrivere il libro che ha sempre sognato. Con lui partono anche la moglie Wendy e il figlio Danny. Il prolungato isolamento e una serie di situazioni sovrannaturali tuttavia scatena il panico tra i corridoi dell’hotel.
ATTENZIONE: QUESTA RECENSIONE CONTIENE SPOILERS
L’espressione “essere come un diesel” si può usare per tutte quelle persone che, quando iniziano un’attività, lo fanno con ritmi blandi. Col passare del tempo queste persone cambiano marcia, e arrivano alla fine dando il massimo. Questa era una cosa che sentivo dire spesso di me quando giocavo a calcio ai tempi del liceo, anche se solitamente nella vita cerco di partire sempre con il massimo dell’entusiasmo.
Stephen King, al contrario di un diesel, è l’esempio perfetto di cosa voglia dire partire al massimo: nonostante un background da inserviente, la carriera letteraria di King è iniziata negli anni Settanta con tre titoli che hanno fatto storia. Sto parlando di Carrie, ‘Salem’s Lot (Le Notti di Salem) e The Shining. Boom. Alla faccia dell’esordio.
Sono tre libri cult per chi ama il genere horror, e nella loro diversità hanno tutti in comune il merito di avere aperto un nuovo capitolo per la letteratura dell’orrore. Un capitolo più moderno, più attuale rispetto ai grandi classici di questo genere che si erano diffusi tra l’Ottocento e la prima metà del Novecento (e che tutt’oggi restano molto letti e apprezzati).
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LE OMBRE DI JACK TORRANCE/STEPHEN KING
Tra questi libri, Shining è quello che più mi ha colpito. Questo perché l’ho letto per la prima volta solo di recente e mi aspettavo – scioccamente – che il film gli fosse migliore (“È Kubrick!”). Ho detto “scioccamente” perché già a pagina 20 avevo capito di avere commesso un errore madornale a pensarla così.
Shining è un libro incredibile per la sua potenza descrittiva: più che un romanzo horror di per sé, questa è una delle analisi più profonde che abbia mai letto sulla fragilità delle relazioni famigliari.
Stephen King ha passato diversi anni della propria vita a combattere un grave problema di alcolismo. Sono stati anni difficili per lui e non ne ha mai voluto fare mistero. Proprio l’alcolismo è uno dei temi principali di Shining, e Jack Torrance altri non è che una versione cartacea di Stephen King (che non ha mai disdegnato usarsi come modello per le proprie storie). Durante il periodo di dipendenza dall’alcol, King ha vissuto momenti tormentati con la propria famiglia e soprattutto temeva che la sua condizione potesse sfociare in violenza fisica contro la moglie e il figlio.
Questo è uno dei temi più ricorrenti della storia: l’astinenza da alcol e il suo abuso rappresentano due tessere di un domino di violenza che potrebbe prendere vita da un momento all’altro, e per i primi due terzi del libro si resta col fiato sospeso in attesa di capire se la scintilla scoccherà per davvero. Si tratta di un argomento molto delicato di per sé ma King, da maestro della suspense qual è, sceglie di aggiungerci un altro fattore: la cosiddetta cabin fever.
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TRA CABIN FEVER, ALCOLISMO E FENOMENI PARANORMALI
Cabin fever è un’espressione inglese che indica una particolare forma di claustrofobia, che ha luogo quando una persona (o un gruppo di persone) è costretta a restare isolata per un lungo periodo di tempo senza avere attività particolari a tenerle compagnia. La combinazione di cabin fever e alcolismo farebbe impazzire chiunque, figuriamoci chi di alcolismo ci soffre davvero e ha scelto di usare se stesso come vittima in un libro “autobiografico”.
La catarsi di King attraverso Shining è quasi commovente, perché – parole sue – tutta la violenza espressa nel libro è un modo per esternare la paura dovuta alla propria situazione, esorcizzandone così il potere. Non è un caso che alla fine della storia gli unici sopravvissuti della famiglia siano Danny e Wendy.
Nonostante il protagonista della storia sia il figlio Danny, il vero eroe (o anti-eroe) è sicuramente Jack Torrance/Stephen King. Nonostante tutto quello che succede nell’arco narrativo, c’è grande affetto tra padre/marito, madre/moglie, e figlio. Sono tre personaggi molto legati gli uni agli altri, ed è molto affascinante vedere come ognuno reagisca in maniera diversa a quelle situazioni maniacali.
Un altro elemento che mi ha affascinato enormemente è stato l’Overlook Hotel. Uno dei tratti caratteristici di King è quello di “sentire” alcuni tratti vitali in oggetti normalmente inanimati: l’Overlook Hotel è uno dei tanti esempi, come lo sono la Marsten House di ‘Salem’s Lot e soprattutto la leggendaria Torre Nera dell’omonima saga. L’Overlook Hotel non è tanto una casa infestata da fantasmi, quanto piuttosto un essere vivente a tutti gli effetti. Per King l’Overlook Hotel è una rappresentazione della paura e dei fortissimi condizionamenti esterni che agiscono sulle nostre vite (altro grande tema molto caro all’autore). Quando alla fine della storia viene fatto saltare in aria, il nero spirito dell’hotel si dissolve nell’aria ponendo così fine a settant’anni di omicidi e follia.
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PERCHÉ SHINING È UN OTTIMO LIBRO
Shining è un libro che può essere apprezzato sotto molto punti di vista. Innanzitutto è una storia avvincente, con un’escalation di eventi tra il paranormale e lo schizofrenico che non vi lascia distogliere gli occhi dalle pagine. Il libro parte piano, con due scene banali nella loro semplicità come possono essere un colloquio di lavoro e una cena abbozzata a casa Torrance, ma col passare del tempo il ritmo diventa sempre più vertiginoso. C’è un punto, a metà libro, in cui Jack capisce che l’Overlook lo sta usando per arrivare a Danny, ma la sua dipendenza è ormai troppo forte e non riesce ad opporsi. Questo è un passaggio che personalmente ho trovato di enorme impatto.
Il film di Kubrick è fondamentalmente diverso dal libro, e non mi stupisce il fatto che King abbia detestato l’adattamento cinematografico fin da subito. Quello che gli ha dato più fastidio, a detta sua, è il fatto che Jack Nicholson mostri segni di squilibrio fin dalla prima scena, facendo così intuire immediatamente quale sarebbe stata la storia. Nel libro invece tutto è splendidamente graduale e gestito con enorme maestria. In più nel film il personaggio di Danny è ridotto a semplice comparsa, mentre Wendy assume il ruolo di povera mogliettina senza arte né parte – mentre nel libro la sua forza materna e più in generale di donna è a dir poco immensa.
Concludendo, Shining è a mio avviso uno dei libri più riusciti di King. La trama del romanzo e il background dell’autore si sono uniti in un mix irresistibile, e non si può che restare sopraffatti da quanto tutti i dettagli – dai personaggi all’Overlook Hotel – sembrino tristemente reali. In tutta questa violenza e questa follia, quello che traspare di più è il grande amore di King per la propria famiglia: non c’è catarsi senza tragedia, e Jack Torrance – così come King – lo sa benissimo.
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